Tradotti agli estremi confini
Musica e musicisti nel campo di Ferramonti (1940 -1943)
a cura di Laura Brazzo e Raffaele Deluca
Le leggi razziali, gli ebrei, la guerra, i campi di concentramento, ma anche la musica e i musicisti.
La mostra “Tradotti agli estremi confini” narra le ancora poco conosciute storie dei musicisti ebrei stranieri che, esuli in Italia dall’Europa nazista, dal 1940 furono rinchiusi nel campo di concentramento di Ferramonti di Tarsia, in Calabria.
Indice della mostra
Attraverso le immagini e i documenti conservati negli archivi della Fondazione CDEC, nel Fondo Israel Kalk in particolare, e grazie soprattutto alla ricerca di Raffaele Deluca, la mostra riporta alle luce le vicende e le opere di alcuni musicisti che tra le baracche della pianura desolata e malarica di Ferramonti, trovarono la forza e l’entusiasmo di continuare a suonare, comporre, e persino organizzare concerti.
Il pianista polacco Bogdan Zins, il direttore d’orchestra croato Lav Mirski, il tenore polacco Ziskind Mentlik, il baritono tedesco Sigbert Steinfeld, il compositore ucraino Isko Thaler, il giovane musicista austriaco Kurt Sonnenfeld, sono solo alcuni dei protagonisti di questa straordinaria storia “agli estremi confini” dell’Italia, dell’Europa, dove, grazie al linguaggio universale della musica, anche la più straziante delle condizioni si è potuta trasformare in momento creativo e riumanizzante.
Dal punto di vista musicale, l’esperienza di Ferramonti rivela la convivenza sonora di una notevole varietà di stili e generi musicali – musica da camera, polifonia, Kabarett, opera lirica, operetta, musica liturgica, brani per la gioventù, musica strumentale e corale, riduzioni orchestrali, repertorio pianistico classico, canzoni – tra loro accostati, anzi riadattati in virtù delle diverse provenienze, geografiche e culturali, dei musicisti.
Fare musica insieme. È certamente questo uno dei tratti caratteristici della musica “internata”. Fuori dall’individualismo di concertisti affermati, assediati dai bisogni primari delle loro vite artificiali, i musicisti di Ferramonti seppero cogliere quella necessità di condividere la musica attraverso concerti e occasioni strumentali e vocali d’insieme, per tentare di ricostruire con l’arte dei suoni la civiltà e la cultura, infranta dalle leggi razziali e dall’internamento.
Obiettivo di questa mostra è non solo far conoscere una straordinaria esperienza musicale, ma anche farne risaltare l’eclettismo come tratto distintivo di quell’esperienza. Proprio partendo da quel (già sperimentato) eclettismo, è possibile pensare anche ad un nuovo indirizzo della produzione musicale. Sulla base comune di studi storici e ricerca musicologica sulla musica perseguitata potrebbero nascere nuove produzioni concertistiche e repertori musicali molto diversi tra loro e altrimenti inconciliabili.
La mostra “Tradotti agli estremi confini” è stata presentata per la prima volta nel gennaio 2020 presso l’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia.
Istituto Italiano di Cultura di Varsavia, 27 gennaio 2020
Suddivisa in sei sezioni – in sei “stanze” – la mostra segue tre filoni narrativi: quello delle fotografie, raccolte da Israel Kalk; il racconto delle persone che vissero in prima persona l’esperienza dell’internamento e della musica prodotta dentro il campo, Arthur Lehmann in particolare; e poi lo sguardo più distante dei curatori, a cui è affidato il compito di tenere le fila dell’intera narrazione.
Questa nuova versione digitale ricalca la struttura originaria della mostra del 2020 con alcune integrazioni e revisioni. L’intenzione però è di usare al meglio le potenzialità della piattaforma digitale per arricchire progressivamente la mostra di nuovi contenuti, a cominciare da quelli musicali grazie al supporto degli studenti del Conservatorio di Rovigo.
La mostra “Tradotti agli estremi confini” è frutto della ricerca di Raffaele Deluca, pubblicata nel 2019 per le edizioni Mimesis, e del Dipartimento musiche d’insieme del Conservatorio di Rovigo, coordinato da Giuseppe Fagnocchi e Anna Bellagamba, in collaborazione con la Fondazione CDEC.
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